Ogni giorno si fa sempre più tangibile la gravità della situazione degli sbarchi di profughi a Lampedusa. Ormai gli abitanti dell’isola sono allo stremo, al limite della sopportazione. Per 800 che vanno, 2000 ne arrivano, chi a buon titolo (i rifugiati che arrivano dalla Libia) e chi per furbizia (i tunisini, gli egiziani e via dicendo, che approfittano del momento per buttarsi nella mischia tanto magari gli va pure bene e ce li teniamo). Perché è così, noi ci teniamo tutti. E va anche bene. Io non dico certo che dobbiamo fare come la Francia, che li rimanda via e Amen. Sono d’accordo che bisogna aiutare chi è in difficoltà, quando c’è una guerra in mezzo ancora di più. Ma per citare un vecchio detto “anche la donna più bella del mondo dà quello che ha”. E quando non ce n’è più, basta.
Ho sentito giorni fa un’intervista ad alcuni profughi. Che cosa hanno detto? Anziché ringraziare Dio, Allah e gli uomini per essere stati accolti, si lamentavano. Delle condizioni igieniche, del non essere stati nutriti, dissetati, vestiti e coperti con caldi piumini. Io penso che questo si potrebbe chiederlo in condizioni normali: io ti accolgo, quindi ti devo offrire condizioni di sopravvivenza dignitose. Ma in condizioni di estrema gravità, come questa, e quando in un luogo che può accogliere 1000 persone ne arrivano 5-6000, il massimo che si può pretendere è di avere un marciapiede dove potersi sedere. Perché allora tutti qui? Perché non in Grecia, in Turchia, a Malta? Perché sanno che probabilmente non li farebbero neanche avvicinare alla costa. Allora, visto che almeno qui non ci sono bombe che fischiano sulla testa, che si ringrazi per quel poco che c’è, e che si capisca che la situazione non è facile neanche per noi.